Gli ultimi dati disponibili riferiti all’arco temporale 2009-2015 indicano che il numero delle partecipazioni all’estero delle aziende italiane è aumentato del 12,7 per cento; se verso la fine del decennio scorso i casi ammontavano a 31.672, nel 2015 sono saliti fino a raggiungere quota 35.684. Si tratta di dati parziali, ma essi consentono di misurare la dimensione economica di un evento che rappresenta una forma di delocalizzazione. “Purtroppo – ha detto il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – non ci sono statistiche complete in grado di fotografare con precisione il fenomeno della delocalizzazione produttiva. Infatti, non conosciamo, ad esempio, il numero di imprese che ha chiuso l’attività in Italia per trasferirsi all’estero. Tuttavia, siamo in grado di misurare con gradualità diverse gli investimenti delle aziende italiane nel capitale di imprese straniere ubicate all’estero. Un risultato che non sempre dà luogo ad effetti negativi per la nostra economia”. Dall’elaborazione effettuata dall’Ufficio studi della Cgia (ass.artigiani e piccole imprese di Mestre) su Banca dati Reprint del Politecnico di Milano e dell’Ice, unico data base presente in Italia in grado di monitorare questo fenomeno, si evince, inoltre, che nel periodo preso in esame il numero di occupati all’estero alle dipendenze di imprese a partecipazione italiana è diminuito del 2,9 per cento (una contrazione di poco più di 50.000 unità). Il fatturato, invece, è aumentato dell’8,3 per cento, facendo registrare un incremento in termini assoluti del giro di affari di oltre 40 miliardi di euro. Sempre nel 2015, i ricavi delle imprese straniere controllate dalle nostre hanno toccato i 520,8 miliardi di euro. Sul Report della Cgia sulla delocalizzazione è intervenuta, con una nota la Regione Veneto. “Alle imprese del Nord, e in particolare a quelle del Nordest, piace internazionalizzare, non delocalizzare”. Lo ha scritto l’assessore regionale al lavoro a commento dell’ultima elaborazione della Cgia. “Dal mio punto di osservazione – ha precisato l’ass.al lavoro – la propensione delle aziende nordestine non è tanto verso la delocalizzazione, ovvero la chiusura di sedi e di stabilimenti in Veneto per trasferire altrove le produzioni, quanto piuttosto di internazionalizzarsi, ovvero di portare segmenti delle attività aziendali all’estero, mantenendo sempre una presenza forte e qualificata in Veneto. La forza delle nostre aziende è internazionalizzare – ha sottolineato l’assessore – e si internazionalizza per vendere di più, e per andare incontro ai clienti. Più una impresa internazionalizza, più è solida e più fa crescere l’intera filiera del proprio tessuto di appartenenza. Anche l’ultima azienda visitata nei giorni scorsi, il gruppo Brenta di Molvena, – ha ricordato l’esponente della giunta regionale – che è azienda leader mondiale nel settore degli stampaggi per il settore automobilistico e conta quattro sedi in Italia, tra Veneto e Lombardia, ora ha aperto una sede anche in Messico, per essere più prossima al mercato americano dell’auto. L’internazionalizzazione è una strategia di crescita e di sviluppo, spesso obbligata, per essere competitivi e garantire futuro al progetto imprenditoriale. Nessuna tra le crisi aziendali che la Regione sta monitorando e gestendo in questi mesi attraverso l’Unità di crisi – ha concluso l’assessore – – è determinata da scelte di delocalizzazione; ma piuttosto da fragilità finanziaria e da scelte di governance poco lungimiranti. La Regione mette i propri strumenti, competenze e risorse, per accompagnare i processi di internazionalizzazione delle imprese, consapevole che solo così il manifatturiero, e anche il terziario del Veneto, potranno reggere il passo con la costante evoluzione dei metodi produttivi, dei prodotti e delle reti distributive e conla complessità dell’economia globale”.

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