Pesce scorpione al Sea Life, l'acquario di Roma, fotografato durante l'inaugurazione del primo pezzo del II polo turistico della Capitale, Roma 19 gennaio 2012. ANSA/UFFICIO STAMPA SEA LIFE

Un gruppo di esperti dell’Unione internazionale per la conservazione della natura ha segnalato sempre più frequenti avvistamenti di Pterois Volitans (noto come Devil firefish, in italiano ‘pesce scorpione’) nelle acque del Mediterraneo, in particolare a Cipro e nelle acque della Turchia. E non è escluso che possa arrivare presto nei mari italiani. Da noi, in ogni periodo estivo ad urticare i bagnanti ci sono da anni le meduse che, a sciami, si portano anche vicini agli arenili. La notizia del pesce scorpione che potrebbe “viaggiare” anche verso Adriatico o Tirreno o canale di Sicilia non deve affatto destare preoccupazione: la sua presenza non è stata avvistata per cui le autorità preposte sapranno allertarsi al momento opportuno. Va detto che il danno arrecato dalle meduse è assai più lieve e medicabile. Diverso, secondo gli esperti e i sanitari, i danni all’uomo trasmessi dagli aculei del pesce scorpione. Predatore temibile, si è progressivamente spostato verso il Mediterraneo, complici i cambiamenti climatici e, forse, anche i traffici marittimi. E’ originario del Pacifico e Oceano Indiano meriodionale. Risulta che ha molto danneggiato gli ecosistemi acquatici, riducendo la presenza di altri pesci, inclusi quelli di interesse commerciale che alimentano il settore della pesca. “Questa specie può avere un impatto assai negativo sugli ecosistemi e sulle economie locali”, ha chiarito il biologo marino di Nicosia Carlos Jimenez. Il pesce scorpione (nella foto) si caratterizza per una sorta di pungiglione e dei “filamenti” tossici, potenzialmente letali per l’uomo. Il contatto provoca dolore, vomito e nei casi più gravi – fortunatamente rari quelli accertati – paralisi respiratoria, edema polmonare e ischemia del miocardio”. In alcuni Paesi, il Devil firefish è diventato talmente invadente che i governi hanno iniziato a sostenere la pesca massiccia, al fine di ridurne la presenza, come a Cuba, Colombia e Giappone. Qui, l’invasione si combatte a tavola, semplicemente mangiandolo. Un necessario cauto avvertimento è stato dato da Delmis Cabrera, una biologa marina dell’Aquario dell’Avana: “Bisogna, ha detto, saperlo maneggiare bene dato che è anche una buona pietanza. Grazie a queste caratteristiche abbiamo potuto incoraggiare la pesca di questa specie per controllarne la diffusione”.

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