Perché studiare il latino a scuola? Cos’ha da insegnarci la lingua di Cicerone? Sono questiti che si sono posti  generazioni di studenti e di genitori, e alla quale tenta oggi di rispondere il prof. Ivano Dionigi, docente di letteratura latina e già rettore dell’università di Bologna, nel recente libro Il presente non basta. La lezione del latino (Mondadori 2016). Sullo stesso argomento l’autore si è confrontato con Gianluigi Baldo, Paolo Possamai e Giuseppe Zaccaria, nell’incontro organizzato dalla Scuola galileiana di studi superiori di Padova il 9 febbraio scorso. La difesa del latino ha appassionato numerosi uomini di lettere e intellettuali: secondo T.S. Eliot “dobbiamo rivolgerci alle lingue morte; ed è importante che siano morte, perché la loro scomparsa ce ne ha procurato l’eredità”. D’altra parte Antonio Gramsci – a cui si contrappose Nenni, che nel 1945 descriveva il latino come la “lingua dei signori” – scriveva che “non si impara il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali. Si impara per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente”. Il latino è lingua degli Strumenti l’imperium e dell’ecclesia, della politica e della scienza, che ci ha fatto da tramite con il sapere giudaico e quello greco. D’accordo: anche senza latino si può vivere, ma forse un po’ peggio, almeno secondo i suoi sponsor (parola latina come deficit, referendum, virus, cellula; ma anche media, audio, monitor e computer…). I motivi non mancano: “Innanzitutto è la mater certa del nostro italiano – ha spiegato l’autore a Daniele Mont D’Arpizio il quale ha pubblicato un ampio servizio sul Bo – se vogliamo usare bene la nostra lingua è sempre meglio conoscere l’origine delle parole, la cosiddetta etimologia. Il rischio altrimenti è di limitarsi a ripetere ovvietà: i verba obvia di cui parla Frontone. Parole che pronunciamo solo perché letteralmente ‘ci vengono incontro per via’, che ci scelgono e non scegliamo”. Il latino serve, come evidenziato dal prof. Dionigi, a parlare e a scrivere bene le altre lingue, compreso l’inglese (che da esso deriva una gran parte dei suoi vocaboli): “Troppo spesso oggi usiamo parole cadaveriche, stinte nel loro significato, quando invece i grandi autori del passato ci insegnano il potere enorme della parola: ‘sovrano potente’ secondo Gorgia perché ‘minuta e invisibile’ compie i più grandi miracoli…”. C’ è poi un secondo motivo, al di là del dato disciplinare,  che sta nel senso della storia: “il latino ci trasmette una cultura profondamente basata sullo scorrere del tempo: basti pensare pensare alla consecutio temporum, o al diritto romano, opus commune et perpetuum. Oggi tendiamo a essere schiacciati sulla contemporaneità, mentre avremmo bisogno di affiancare al discorso tecnologico, che dilata lo spazio, quello umanistico, che invece dilata il tempo”. Una ragione ulteriore sta infine nel profondo rapporto che nella nostra civiltà si è creato tra studio dei classici e umanesimo: “Oggi a rispondere a molte delle nostre esigenze c’è la tecnologia, ma chi ci aiuta a porre le domande giuste? E chi ci avverte che per ogni risposta ci sono nuove domande che si pongono? C’è un sapere altro rispetto a quello tecnologico, che opera per accumulo e non butta via le cose vecchie come se non servissero più”. I classici in questa visione non sono reliquie da mettere nel cassetto, o al più da sfoggiare in bella vista nella libreria: “Virgilio, Seneca, Lucrezio, Agostino…: i testi rimangono sempre gli stessi, ma lo studente li deve ogni volta rendere propri”. E in questo il lavoro di traduzione esplica un ruolo fondamentale, “perché ogni volta ridà vita al testo e lo attualizza; allo stesso tempo insegna che non esiste la traduzione unica e perfetta, e che ogni scelta può essere valida se correttamente argomentata”. Il latino ha ancora molto da dire, anche perché insegna a studiare e ad apprendere, funzioni che oggi non sono limitate agli anni della scuola e dell’università ma si allargano a comprendere tutto l’arco della vita.

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