Il Veneto ha un bagaglio di tradizioni legato alla civiltà contadina che permea tutta la cultura popolare e non. Soprattutto nell’area del Veneto Orientale, solitamente la sera del 5 gennaio, la vigilia dell’Epifania, si accendono a centinaia i roghi del Panevìn, i falò propiziatori per il Nuovo Anno. La tradizione è sopravvissuta nei secoli e si perpetua ogni anno;  la fascia è contenuta tra il Tagliamento ed il Piave, salvo altre zone confinanti. Ricollegabile ai culti pagani del fuoco e del sole che celebravano il solstizio d’inverno anche dopo l’avvento del Cristianesimo, conservò alcuni fondamentali aspetti della sua origine, come la divinazione della qualità dell’annata agraria attraverso la lettura del modo di spargersi delle faville e la distruzione – col fuoco – delle cose vecchie e della “vecia” (la befana, un fantoccio in abiti femminili che presenta tutti i mali dell’anno trascorso, compreso l’inverno) posta sopra l’alto cumulo di rovi e sterpaglie, raccolti nei campi nei giorni precedenti. La mitica festa è sopravvissuta sino ad oggi perché esprime un formidabile momento di aggregazione popolare: ritrovarsi intorno allo stesso fuoco riafferma, attraverso la presenza di tutti, la necessità di un legame fraterno tra gli uomini e di una rinnovata armonia con la natura, senza dimenticare scongiuri e pronostici che tutti fanno per l’anno appena iniziato. E’ diventata una festa della comunità, un modo di stare insieme allegramente intorno al falò a “ciàmar el pan e vìn”, il tradizionale alimento alla mensa dei contadini dei secoli scorsi, e “salute”. Le strofe rimate invocano un avvenire prospero per tutti, vicini e lontani: Che Dio ne dae saute e / Panevìn / la pìnsa sul larìn / i fasiòi pa’ i pòri fjòi / ’e patate pa’e femenàte… / Poenta e figadèi pa’i nostri tosatèi / e Panevìn / ’a massèra su ‘a panèra / el parón sul caregón / el putìn sul so letìn / e Panevìn!. (Che Dio ci dia la salute e / Panevino / la pìnza sul focolare / i fagioli per i poveri ragazzi / le patate per le donnacce… / Polenta e salsicce di fegato per i nostri bambini! / e Panevino / la massaia a fare il pane / il padrone di casa sul seggiolone / l’infante nella sua culla / e Panevino!) Anno dopo anno lo stesso rito: si dà fuoco alla grande catasta di rami e fogliame secco, si beve il “vin brulè” e si mangia la “pinza”, il dolce tipico dell’Epifania. Si organizza a volte una cena a base di trippe con pasta e fagioli.  Si osserva la direzione delle fiamme che anticamente indicava ai contadini se l’annata sarebbe stata buona o cattiva. E’ il momento detto dei “pronosteghi”, come il seguente, anche se ne esistono degli altri: “falive a matina, tol su el saco e va a farina” (se la direzione presa dal fumo e dalle faville è il nord o l’est, prendi il sacco e vai ad elemosinare) “se le falive le va a sera, de polenta pien caliera” (se la direzione è ovest e sud, il raccolto sarà buono, cioè la pentola sarà piena di polenta) “se le falive le va a garbin tol su el caro e va al mulin” (se la direzione è del libeccio per l’abbondanza devi andare a prendere la farina con il carro). Qualche volta c’erano discussioni sulla mutevole direzione delle faville, causata dalle differenti correnti d’aria; ma questo faceva parte della festa e i dialoghi favorivano le buone relazioni.  Si parla “di stelle e di stagioni” come scrisse un grande poeta e scrittore, guardando la luna. Si racconta che alcuni decenni fa, quando il sentimento religioso era più vivo e forse più profondo, si trascorreva la notte attorno alle braci recitando il rosario e cantando le litanie. Il falò simboleggia la stella cometa, il fuoco che propizia il nuovo raccolto e che brucia il male che c’è sulla terra. Influenzato dalla fede cristiana, rappresenta anche il mezzo che illuminò la via ai Re Magi che si erano smarriti. Nel Medioevo infatti i falò del solstizio vennero spostati all’Epifania per ricordare i Magi che portarono doni al Bambino appena nato. I fuochi della campagna veneta, secondo una leggenda, avrebbero rischiarato la via ai tre Re, che nel loro viaggio per Betlemme si erano persi. Il rito si compie in campagna, ma è rappresentato anche nei centri. Ad Arcade, come a Treviso, a Oderzo, a Motta, a Mogliano, in Friuli o meglio nei territori delle province di Pordenone  di Udine e in tanti altri comuni trevigiani ma anche veneziani come Jesolo, Scorzè e Meolo. A Noventa di Piave c’è la fiaccolata lungo le vie del paese e “Pan e vin” nella golena del Piave. Spettacolari sono i falò in Piazza Bra, a Verona o in Prato della Valle, a Padova. Vari sono i nomi attribuiti al falò a seconda della zona: oltre a Pan e vin, è detto Panèra nella zona tra Treviso e Montebelluna, Rièl o Còpel nella Pedemontana trevigiana, Brusa la Vecia nel Polesine, nel Garda, e nel Bellunese e Brusa la Stria nella montagna vicentina, Casèra nelle zone di San Donà e del Portogruarese, Pignarûl in vari paesi friulani, e altri nomi ancora. A partire dalle 19.30, il Presidente del Veneto Luca Zaia sarà all’accensione dei “roghi” a Visnà di Vazzola, Borgo Soler di Fontanelle, Borgo Malanotte di Tezze. Poi, alle 20.45 circa, Zaia ad Arcade, una delle piazze “storiche” dei Panevin nella Marca Trevigiana. I fuochi epifanici in questi tempi recenti sono oggetto di particolari norme dettate dai vigili del fuoco e dalle agenzie regionali dell’ambiente che invitano i comitati organizzatori di queste feste, post tramonto, ad adottare le necessarie precauzioni. Ad esempio, l’Arpa del FVG ha ricordato, in una nota, che i fuochi sono molto impattanti sulla qualità dell’aria, soprattutto in condizioni di ristagno atmosferico. Queste manifestazioni, tuttavia, nel Piano di azione regionale per la gestione degli episodi acuti di inquinamento atmosferico sono consentite in deroga. Per aiutare i Comuni e le associazioni che intendono condurre questa pratica in modo più ecologico e meno impattante sull’ambiente l’Arpa ha predisposto un breve vademecum con indicazioni sulle migliori modalità di preparazione, di conduzione e di gestione dei residui della combustione, a conclusione del rito. (ODM)

 

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