Villa Durazzo a S.Margherita Ligure ha ospitato, nei giorni scorsi, i lavori di uno workshop dal titolo “Mare di plastica? A plastic sea?”, promosso dal Lions club S.Margherita-Portofino. Tra i partecipanti, come riferito da Manuela d’Agostino del magazine “Liguria Nautica”, biologi, ricercatori, scienziati, accademici e rappresentanti della stampa specializzata. (Nella fotoIn a changing sea” dell’artista Giuseppe La Spada, presente ai lavori del  convegno). Giorgio Fanciulli, direttore dell’area Marina Protetta di Portofino si è soffermato su un problema spesso sottovalutato, cioè la grande quantità di reti e lenze da pesca di nylon finite (abbandonate giocoforza) sui fondali, non solo nel Mediterraneo, ma anche in altri mari. Un grave danno per la flora e per la fauna marina, ferite entrambe da reti e attrezzature simili. Fanciulli ha tra l’altro annunciato che, a partire da quest’estate, saranno usati  i seabin (i cestini galleggianti australiani). I danni sono provocati soprattutto dall’efficienza di cattura delle reti, esercitata anche sui fondali. E’ stato calcolato che una rete persa è efficiente ancora per 35 settimane, prima che raggiunga la sua massima capacità di pescare pesci definiti “fantasma” e che pesca 93 pesci ogni 100 mq. In mare non solo naviga senza mèta e in baalia delle correnti  la plastica; va detto, come ripetuto dai relatori, che nell’acqua si sono altri veleni, i cosidetti scarti rilasciati dall’ uomo, come microplastica e nanoplastica. Lo ha illustrato Laura Canesi, dottore di ricerca in Scienze Ambientali Marine dell’Università di Genova la quale ha spiegato quali sono le principali fonti: esse vengono rilasciate nell’ambiente attraverso le nostre azioni quotidiane come fare la lavatrice o lavarsi, perché contenute nelle fibre tessili sintetiche dei nostri vestiti, nei dentifrici, nei cosmetici e nei prodotti per l’igiene personale. Canesi ha sottolineato come le microplastiche, date le minuscole dimensioni, non vengano eliminate dagli impianti di depurazione delle acque ma finiscano nelle acque dolci, nei nostri rubinetti e scarichi, ovviamente, anche in mare. “Non si conosce -ha affermato – l’impatto delle microplastiche sull’uomo. Non sono stati raccolti dati in proposito ma non è più da sottovalutare l’incuria con cui viene maneggiata la plastica nell’industria durante la fase di produzione”. Tra i presenti anche il giornalista Franco Borgogno che nel suo libro “Un mare di plastica” racconta della sua spedizione scientifica in Artico nel 2016, sfatando il mito che vuole queste acque incontaminate perché belle e limpide. Grazie a questa spedizione si è scoperto che anche l’Artico, che parrebbe incontaminato, è inquinato da plastica, microplastica e altri scarti di vario genere.  Ma se la plastica nel mare e, in generale, in tutto l’ambiente, è una “silenziosa invasione”, per citare una serie di articoli di Marco Faimali, professore e ricercatore responsabile dell’Istituto di Scienze Marine ISMAR CNR di Genova, che ha preso parte ai lavori con Giuseppe La Spada, artista digitale di fama internazionale con cui collabora, quali sono le soluzioni? È veramente la plastica il male di tutto o piuttosto l’uso improprio e la cattiva gestione che se ne fa? Le risposte sono più d’una, ma c’è un punto fermo: quello di essere tutti più responsabili, a cominciare dai giovani e dalle aziende produttrici, per non parlare della costante necessità di maggiori vigilanze, non solo in mare, i cui responsabili hanno pieno mandato di far rispettare le norme che tutelano l’ambiente e comminare sanzioni ai trasgressori. Multe pesanti certamente perchè il danno causato resta comunque molto rilevante, perchè l’offesa è grande come il mare.

 

 

 

 

 

 

 

 

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