In montagna e in campagna fino agli anni ‘50 il filò era l’ambiente e l’occasione in cui veniva tramandato il ricchissimo patrimonio culturale dei nostri antenati, dai proverbi alle filastrocche, dalle cantilene alle canzoni popolari, dai personaggi delle streghe e degli orchi, dai racconti moralistici a quelli drammatici o comici. Si recitava anche il S.Rosario. Dopo il tramonto, gli uomini passavano il tempo che avanzava dai lavori nei campi e nei boschi raccontandosi novelle o parlando dei problemi della vita quotidiana. Era un’abitudine a cui tutta la famiglia non intendeva rinunciare: si riuniva nella stalla e trascorreva le ore fino a notte inoltrata. Con la fine dell’autunno, le contrade cominciavano a vivere una vita di gruppo più intensa, perché il lavoro assumeva un ritmo diverso da quello delle stagioni produttive. Vi si andava anche perché era l’unico ambiente che disponeva di un riscaldamento gratis: il fiato delle mucche. Nel cuore dell’inverno, sotto la luce fioca di una lucerna a petrolio, la stalla diventava il salotto, il centro della vita sociale e familiare, un locale pubblico dove familiari e vicini si sentivano a casa loro. Durante il filò si parlava del più e del meno: esso aveva una fisionomia ben precisa, una ritualità e una sua importanza anche economica. Le donne si dedicavano al rammendo, a far calze e scarpette e a filare. La lavorazione della lana era un’attività comune per tutte le donne sia nei villaggi alpini come nelle campagne. Con tecniche antichissime, esse trasformavano la lana ricavata dalla tosatura delle pecore in filo che veniva poi usato per confezionare la maggior parte degli indumenti. La dote, sacrosanta, era messa insieme dalle ragazze durante il filò, magari sotto gli occhi attenti del moroso che misurava la bravura della futura sposa. Gli uomini approfittavano per far ceste in vimini, impagliare sedie con i cartocci del granoturco, aggiustare gli attrezzi mentre chiacchieravano dei raccolti e delle bestie da vendere al mercato. I vecchi fumavano la pipa e raccontavano storie. Oggi questo non c’è più e rimane come ricordo solo per i più vecchi che ancora vivono in campagna o in montagna. Per una chiacchierata ci si trova dal parrucchiere oppure al bar per la durata di uno spritz e al massimo, nei paesi, può scapparci la partita a carte. Eppure tutto ciò costituisce un mondo mitico che gli arnesi del filare e gli attrezzi contadini rappresentano e che si possono ammirare nei numerosi musei etnografici esistenti anche nel Veneto. (ODM)

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