Secondo il primo studio interdisciplinare sulle fondazioni di Venezia e sui pali interrati, coordinato dal prof. Guido Biscontin di Cà Foscari, nonostante il legno sia talvolta molto degradato, il “sistema” che vede all’opera anche terra e acqua può continuare a sorreggere le facciate di marmo e i palazzi veneziani. Biscontin, facendo il punto, ha detto che l’obiettivo è stato capire il comportamento dei pali di fondazione immersi nel fango, vedere se anche in queste situazioni i pali hanno dei processi di deterioramento di tipo chimico, fisico e biologico. Attraverso questo studio è stato possibile mettere a punto un protocollo di indagine che potrà essere impiegato in maniera sistematica da istituzioni e privati per il monitoraggio e la manutenzione delle fondazioni del patrimonio edilizio cittadino. La filiera delle competenze e delle diverse discipline coinvolte costituisce un unicum nel panorama internazionale dello studio delle palificate di fondazioni lignee storiche. Come noto Biscontin è tra i pionieri della chimica del restauro in Italia; egli ha avviato il progetto nel 2007 con il team del Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, il finanziamento del Consorzio ricerche in laguna (Corila), il sostegno della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e Laguna, la collaborazione con Ivalsa-Cnr, Dipartimento di ingegneria civile, edile e ambientale dell’Università di Padova e Insula SpA, Società per la manutenzione urbana di Venezia, tutte queste informazini sono state pubblicate nel sito di Cà Foscari. Si è appreso così che i cantieri di dragaggio dei canali sono stati i laboratori sul campo per lo studio delle fondazioni: i ricercatori hanno sfruttato i rii in secca per prelevare campioni dalle basi degli edifici del centro storico. “Abbiamo esaminato i terreni di fondazione grazie ad uno strumento multiparametrico che permette di calcolare la concentrazione di ossigeno, i valori di pH, i valori di conducibilità del sistema acqua e fango”, ha illustrato Francesca Caterina Izzo, ricercatrice coinvolta nel progetto e coautrice, con Biscontin ed Enrico Rinaldi (Corila) del volume “Il sistema delle fondazioni lignee a Venezia”, editore lo stesso Corila. La ricerca ha sfatato il luogo comune secondo il quale l’assenza di ossigeno renderebbe il legno inattaccabile. “La forte presenza di materiale organico nell’acqua e nel terreno favorisce la presenza di batteri anaerobi che degradano il legno – ha spiegato la ricercatrice – tuttavia acqua e fango vanno a riempire i vuoti che si creano, garantendo il sostegno. La tecnica costruttiva antica si è dimostrata efficace”. Gli scienziati del Cnr si sono concentrati sullo studio del legno, facendo chiarezza sullo stato di conservazione dei pali lignei che reggono gli edifici e ponendo le basi per un piano di restauro e conservazione del patrimonio architettonico. “Possono essere presenti situazioni anche molto diverse tra un edificio e l’altro e tra una zona e l’altra della città – ha spiegato Nicola Macchioni, ricercatore dell’Ivalsa-Cnr – Lo studio, basandosi sui pochi casi indagati in passato e sui campionamenti effettuati, ha messo in evidenza un degrado delle palificazioni talora importante, con differenze anche significative a seconda delle tipologie di suolo e del legno adoperato. Per quanto riguarda le specie legnose – ha proseguito – abbiamo analizzato l’ontano, la quercia, il larice e il pino silvestre. In genere, come constatato anche per il legno archeologico, il legno di conifera si altera in misura minore”. La conclusione dei ricercatori è questa: la chiave è l’equilibrio fisico, chimico e meccanico tra legno, terra e acqua.

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