Al comando della 132/ma Brigata corrazzata “Ariete”, di stanza a Pordenone, è stato consegnato il rapporto con i risultati delle indagini svolte dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente del Friuli Venezia Giulia (Arpa) sulla presenza di radionuclidi all’interno dell’area del poligono militare del Cellina-Meduna. Per l’assessore regionale all’ambiente, Sara Vito, “i dati presentati nel rapporto sono rassicuranti e non vi è alcun pericolo per la salute della popolazione e dei lavoratori. Si conferma così che non c’è alcuna contaminazione della falda acquifera o della catena alimentare in seguito all’utilizzo nelle esercitazioni di missili contenenti isotopi radioattivi”. La collaborazione del personale della Brigata Ariete e le professionalità messe in campo da Arpa sono state fondamentali per fare chiarezza: questo rapporto ci permette di rassicurare l’opinione pubblica”. La vicenda parte nel marzo 2013 quando erano stati compiuti dei monitoraggi da parte dell’esercito che avevano evidenziato dei livelli sopra soglia di metalli pesanti all’interno di un’area del poligono, successivamente perimetrata. Nelle successive indagini effettuate da Arpa era stata rinvenuta la presenza di Torio 232 (Th-232) in quantità superiore a quella del fondo naturale, dovuta all’utilizzo fino al 2004 di missili MILAN da esercitazione contenenti l’isotopo radioattivo. Da qui la necessità di effettuare la caratterizzazione radiologica del poligono per definirne il livello di inquinamento ambientale. Arpa ha quindi condotto tra la fine 2013 ed il maggio 2015 – tramite la struttura di Fisica ambientale del Laboratorio unico e il Dipartimento di Pordenone – un complesso studio a cui ha contribuito anche l’ex A.S.S. 6 “Pordenonese”, per i campionamenti di acque potabili ed alimenti, ed i laboratori di radiochimica di Arpa Piemonte ed Arpa Lombardia, per le misure, rispettivamente, di uranio impoverito nei suoli e misure di radiochimica nelle acque. Lo studio aveva i seguenti obiettivi principali: la determinazione dei livelli di contaminazione e la definizione delle aree e dei volumi contaminati; la valutazione dell’eventuale contaminazione delle falde acquifere e/o della catena alimentare; degli eventuali rischi sanitari a cui è esposta la popolazione; la determinazione dell’eventuale necessità di intervento di bonifica e delle sue modalità; la valutazione degli eventuali rischi sanitari a cui potrebbero essere esposti i lavoratori impegnati nell’eventuale bonifica. I rilievi sono stati effettuati da personale della struttura di Fisica ambientale di Arpa, supportata logisticamente dal personale della 132/ma Brigata corazzata “Ariete”. Lo studio ha comportato 27 giornate di lavoro in campo, prelievi di decine di campioni e conseguente loro trattamento e preparazione, centinaia di misure sia in campo che in laboratorio, oltre all’elaborazione dell’enorme mole di dati prodotti. I risultati delle analisi effettuate hanno consentito di giungere a conclusioni tranquillizzanti. Le misure effettuate nei laboratori di radiochimica delle Arpa di Piemonte e Lombardia hanno permesso di escludere la presenza di uranio impoverito nei suoli e di contaminazione da Th-232 nelle acque potabili e di falda; così come le misure effettuate su campioni di alimenti prodotti nelle immediate vicinanze del poligono, su campioni di vegetali e particolato atmosferico prelevati sui bersagli risultati contaminati, non hanno mostrato concentrazioni di Th-232 diverse da quelle naturalmente presenti in tali matrici. Le valutazioni di radioprotezione hanno confermato che non vi è pericolo alcuno per la salute della popolazione residente nei comuni interessati dalle attività del poligono e limitrofi ad esso. Le stesse valutazioni hanno messo in evidenza che le concentrazioni relativamente basse di Th-232 misurate in aree molto ristrette non generano livelli di azione che portino a necessità di bonifica, dal punto di vista radiologico, dell’area stessa. Non c’è infine alcun pericolo per la salute dei lavoratori che dovessero effettuare una eventuale bonifica dei bersagli contaminati, dovuta alla presenza di altri inquinanti, neppure nel caso, assolutamente improbabile dati i piccoli volumi interessati dalla contaminazione, che essi debbano lavorare per 1800 ore (225 giornate lavorative da 8 ore ciascuna) sul bersaglio più contaminato, anche senza la schermatura costituita dalla struttura degli eventuali mezzi meccanici utilizzati.

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