Il grande successo di pubblico registrato sinora dalla mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” ha convinto gli organizzatori a prolungare l’orario di apertura della mostra dalle 10.00 alle ore 21.00 per tutti i giorni della settimana fino al 15 settembre, giorno in cui chiuderà i battenti dopo 9 mesi di apertura. La mostra, curata da Emanuele Ciampini e Alessandro Roccati con curatrice esecutiva Donatella Avanzo e prodotta da Cultour Active e Venice Exhibition, coniuga rigore scientifico ed emozione per accompagnare i visitatori in un viaggio spazio-temporale alla conoscenza della civiltà più amata di tutti i tempi. Alle ricostruzioni di importanti camere sepolcrali come quella di Tutankhamon e del capo cantiere Pashed, alla mummia proveniente dal Museo di Asti, ai sarcofagi di rara bellezza dei Musei di Asti e Firenze, si affianca la presenza di oltre duecento reperti di inestimabile valore storico e archeologico. Lo spazio occupato dalla mostra, infatti, è uno spazio privato, non istituzionale e quindi difficilmente compatibile con l’idea che spesso Poli Museali e Soprintendenze hanno di luoghi deputati ad esposizioni culturali che prevedano l’esposizione di opere d’arte o reperti archeologici. Il grande lavoro del Comitato Scientifico è stato proprio quello di progettare e realizzare una mostra “all’altezza” dei pregevoli prestiti richiesti. Nella prima sala della mostra, per esempio, dove le onde del Mediterraneo portano alla scoperta di antiche civiltà, si impone maestoso un reperto di rimarchevole rarità: un chiodo di fondazione in argilla perfettamente conservato, proveniente dalla città di Adab nel sud della Mesopotamia e databile all’epoca accadica (2350-2200 a.C. circa). Adab, come emerso da recenti dati e dai testi di Ebla, era un centro molto importante nella Mesopotamia presargonica, capitale di uno stato potente e fu poi, sotto l’impero di Accad, la più grossa città, dopo Ki e Accad. I chiodi di fondazione erano posti nelle fondamenta dei templi costruiti o restaurati dai sovrani e con la loro iscrizione, recante il nome del costruttore del tempio e quello del dio al quale il tempio era dedicato, dovevano garantire al re duratura fama e benevolenza presso gli dei. Questo cono, alto 40,6 cm, è un pezzo di eccezionale valore storico poiché cita il nome di un nuovo sovrano della città di Adab. È presente inoltre una iscrizione in sumerico che occupa tre colonne, con dodici linee di iscrizione; la scrittura cuneiforme è molto elegante e scritta da uno scriba esperto. Il reperto, di cui si vocifera esserci solo due esemplari al mondo, appartiene alla prestigiosa collezione della famiglia Sinopoli ed è la prima volta che viene esposta in un luogo che non sia un museo. Altro reperto di inestimabile valore archeologico è la testa del faraone Sethi I, padre di Ramesse II, il faraone più conosciuto dopo Tutankhamon (Nuovo Regno XIX dinastia; 1287-1279 a.C.). La testa, proveniente dal Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco di Roma, era parte di una grande scultura che raffigurava Seti I assiso sul trono. Il re indossa la corona khepresh (detta anche corona blu o corona di guerra, utilizzata dal faraone in determinate cerimonie), fittamente segnata da una serie di anelli che rappresentano l’originale decorazione a rilievo di borchie metalliche dorate e reca sulla fronte l’ureo (rappresentazione del serpente cobra, animale sacro alla dea Uadjet, simbolo di protezione, potenza e forza). Legato a questo faraone e collocato nella medesima vetrina, l’ushabti di Sethi I, proveniente dal Museo di Storia ed Arte di Trieste. Gli ushabti, statuette funerarie in vari materiali, avevano il compito di sostituire il defunto nei lavori agricoli, animandosi magicamente e lavorando al suo posto, per consentire all’anima del morto di godere del riposo ultraterreno. Il significato del termine “ushabti”, “il rispondente”, deriva dal fatto che Osiride, proprietario dei Campi di Iaru, chiamava quotidianamente al lavoro i defunti e gli “ushabti” avrebbero risposto alla sua chiamata al posto del defunto. In questo caso, sotto lo strato nero, attorno alle gambe dell’ushabti, è inciso il testo geroglifico che riporta il nome del faraone Sethi I: Men-maat-ra Sety-mery-ptah. Secondo faraone della XIX dinastia, nel suo tempio funerario ad Abido fece incidere la famosa lista di 76 suoi predecessori sul trono d’Egitto. La sua tomba nella Valle dei Re, a Luxor, è una delle più belle con il suo soffitto astronomico, mentre il suo eccezionale sarcofago in alabastro è ora conservato a Londra. Grande sovrano, fu padre del più conosciuto Ramesse II. In confronto all’importanza di questo faraone, la modestia di questo ushabti si spiega con l’altissimo numero di statuette trovate nella sua tomba e disperse nei musei di tutto il mondo. Info: www.mostraegitto.com; press: veniceexhibition@libero.it

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