Misurare la biodiversità a grandi scale con un approccio fisico-statistico, in questo consiste il metodo sviluppato da Anna Tovo, Marco Favretti e Marco Formentin del Dipartimento di Matematica “Tullio Levi-Civita”, Samir Suweis e Amos Maritan del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Galileo Galilei” dell’Università di Padova, insieme a Sandro Azaele dell’Università di Leeds e Jayanth Banavar dell’Università dell’Oregon. Lo studio è stato pubblicato su “Science Advance”. Uno dei modi di quantificare la biodiversità di un ecosistema è misurare il numero delle diverse specie che lo popolano. Un’alta biodiversità è indice di sostenibilità perché garantisce a cascata un supporto alla vita (ciclo dei nutrienti, formazione del suolo e produzione primaria), un miglior approvvigionamento (produzione di cibo, acqua potabile, materiali o combustibile), una corretta regolazione (del clima e delle maree, depurazione dell’acqua, impollinazione e controllo delle infestazioni) e, non ultimo, un impatto culturale, sia esso estetico, spirituale o educativo. Per queste ragioni diventa essenziale, oggi, possedere accurati metodi analitici per misurarla: un corretto controllo permette di intervenire, da subito, con adeguate politiche di salvaguardia. Tuttavia avere stime affidabili della biodiversità di tutto un ecosistema non è sempre facile, soprattutto per regioni molto estese. Nel caso delle foreste si dispone di campioni molto piccoli rispetto alla loro totale estensione. In altre parole, i dati a disposizione sono relativi a una biodiversità su scala locale: nello studio guidato dall’Università di Padova le informazioni, rispetto all’intera foresta, andavano dallo 0.00016% della foresta Amazzonica al 3% della Barro Colorado Island di Panama. Non solo, più di due quinti del numero totale di alberi nel nostro pianeta si trova in foreste tropicali o sub-tropicali, ma abbiamo conoscenza del loro posizionamento e specie solo nello 0.000067% dei casi. Si rende quindi necessario sviluppare dei metodi teorico-statistici che permettano di estrapolare, da informazioni di carattere locale, la biodiversità su scala globale cioè il numero totale di specie e unità che popolano l’intera foresta. Agli inizi del Novecento, Ronald Fisher, uno dei fondatori della statistica, ha formulato l’ipotesi secondo cui le abbondanze delle specie si ripartiscono secondo una determinata probabilità (log-serie di Fisher): in questo modo ha potuto calcolare il numero di specie presenti in un’area più vasta a partire da un suo campione. Il team di ricerca padovano dapprima ha notato che la log-serie di Fisher non sempre è adatta per descrivere le abbondanze di specie nelle foreste reali ed ha formulato un nuovo metodo di analisi molto più flessibile e preciso. “Con la nostra ricerca, iniziata nel 2015”, ha detto Anna Tovo “abbiamo sviluppato un nuovo metodo analitico che si basa su equazioni matematiche le cui incognite sono il numero di specie a scala globale e le rispettive abbondanze e in cui i termini noti sono le informazioni a scala locale, cioè dei campioni. Utilizzando la Teoria Neutrale, la teoria ecologica che afferma che in un arco limitato (ma comunque grande) di tempo ogni individuo ha la stessa probabilità di nascere, morire e migrare indipendentemente dalla specie a cui appartiene, abbiamo testato il nostro metodo su foreste generate al computer stabilendo noi il numero di specie e le loro abbondanze. Seguendo modelli realistici per la riproduzione e ripartizione delle piante” continua Anna Tovo «abbiamo “distribuito” gli alberi in questo territorio virtuale. A questo punto, campionando la nostra foresta artificiale e applicando il modello matematico, abbiamo verificato se riuscivamo a predire il numero di specie. Il nostro metodo è risultato superiore a quelli usati fino a ora, tanto che abbiamo condotto un secondo test, questa volta su foreste reali”. I campioni reali delle foreste, come si è detto, sono solo una piccola parte dell’area arboricola totale. Il campione reale però ha dati certi sul numero delle specie e individui che lo compongono. L’idea del team padovano è stata quella di sotto-campionarlo e di avere così a disposizione un micro-campione reale di una micro-foresta reale.”Ebbene volevamo verificare se, con la nostra metodologia, riuscivamo a ottenere il dato di partenza, quel piccolo campione reale, che è stato sotto-campionato. Anche questa volta il nostro metodo ha dato stime migliori. Il nostro Laboratorio di Fisica Interdisciplinare”, ha detto Samir Suweis, primo co-autore con Anna Tovo dello studio “si occupa da anni di problemi nel campo dell’ecologia e di recente ci siamo appunto focalizzati su come quantificare la biodiversità su grandi scale da campioni locali. Questo lavoro si è sviluppato tramite una sinergia con il Dipartimento di matematica: noi abbiamo sviluppato il modello ecologico mentre i matematici hanno aiutato a formalizzare la teoria di upscaling che ci ha permesso di offrire alla comunità scientifica una possibile risposta a tale problema. Nella nostra ricerca, condotta su 15 foreste pluviali localizzate nella fascia equatoriale e distribuite sui 4 continenti, si verifica, a scala globale”, ha sottolineato Anna Tovo “una situazione di questo genere: la metà degli alberi della foresta (il 50%) appartengono a poche specie (le cosiddette iper-dominanti costituite da tantissimi individui). Le restanti, che sono la maggioranza, hanno un numero di individui molto inferiore. Queste ultime specie si dicono iper-rare proprio perché hanno pochi individui. Questo risultato indica che gli ecosistemi analizzati si trovano in uno “stato critico”, cioè sono particolarmente efficienti nel reagire ai cambiamenti dell’ambiente circostante. In altre parole, le specie rare garantiscono un’elevata biodiversità anche in caso di drastici cambiamenti (clima, parassiti, etc.). Se si verifica un drastico cambiamento climatico, le poche specie che ora dominano non avranno più condizioni così favorevoli e molti dei loro individui moriranno. Al contrario, le specie rare potrebbero essere ora favorite dal nuovo clima e prosperare, andando a diventare le nuove specie dominanti”. “Un’applicazione interessante del metodo che abbiamo presentato» continua Samir Suweis «è la possibilità di valutare quanto campionamento ulteriore nelle varie foreste sarebbe necessario per avere delle stime di previsione entro un certo errore accettabile (il 5%). I risultati della nostra ricerca, in termini di errore, dimostrano che basterebbe aumentare il monitoraggio di un’area più grande di foresta per avere stime migliori: se la foresta tropicale a Panama ha già un sufficiente monitoraggio, per quella di Cocha Cashu in Perù serverebbe un campionamento di quasi 10 volte maggiore rispetto a quello attuale”. L’approccio metodologico proposto può essere applicato non solo all’ecologia, ma ad altri campi di ricerca. “Nel nostro lavoro”, ha detto Marco Formentin del Dipartimento di Matematica dell’Ateneo patavino “usiamo gli strumenti della teoria delle probabilità e della statistica matematica che sono il linguaggio che la scienza ha sviluppato per descrivere fenomeni casuali e trarre informazione da osservazioni parziali. In particolare il nostro metodo sfrutta in modo nuovo le proprietà di invarianza di scala di alcune distribuzioni di probabilità”. “Siamo nel bel mezzo di una crisi di estinzione”, ha sostenuto Jayanth R. Banavar, attualmente presidente e vice-presidente senior all’Università di Oregon e precedentemente all’Università del Maryland a College Park “stiamo perdendo specie forse più rapidamente che mai. Queste specie si sono evolute in molti, molti millenni. Una specie, una volta persa, è persa per sempre”. (m.m.)

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