Sono 3,3 milioni i “lavoratori invisibili” che ogni giorno si recano nei campi, nei cantieri, nei capannoni, nelle case degli italiani per prestare la propria attività lavorativa. Pur essendo sconosciuti all’Inps, all’Inail e al fisco, gli effetti economici che producono questi soggetti sono importanti e pesantissimi.
Secondo le ultime stime elaborate dall’Ufficio studi della Cgia (Ass.artigiani e piccole imprese di Mestre) questo esercito di irregolari genera 77,3 miliardi di fatturato in nero all’anno, sottraendo al fisco un gettito di 42,6 miliardi di euro. Un importo, quest’ultimo, pari a oltre il 40 per cento dell’evasione di imposta annua stimata dai tecnici del ministero dell’economia e delle finanze. A rimetterci non sono solo le casse dell’erario, ma anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali che, spesso, subiscono la concorrenza sleale di questi soggetti. Questi lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto. Prestazioni, ovviamente, che chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non è in grado di offrire. (foto: pozzo S.Patrizio,Scuoladiviaggio). “Una pietra tombale sulla fake news che il Veneto è terra di evasori”. A dirlo è l’assessore regionale allo sviluppo economico Roberto Marcato in relazione ai dati diffusi da Cgia sul lavoro sommerso In Italia e sul conseguente mancato gettito che pesa sul PIL. Risulta infatti che il territorio meno interessato dalla presenza dell’economia sommersa è proprio il Veneto. “I dati – aggiunge Marcato – offrono l’occasione per due considerazioni. La prima è che viene smentita in maniera chiara e netta la falsa credenza che il Veneto sia regione di evasori. Al contrario, le risultanze reali mettono il Veneto fra le regioni che evadono di meno non solo in Italia ma in tutta Europa. E vedere che siamo all’ultimo posto per lavoro in nero fa particolarmente piacere perché viene riconosciuto il grande lavoro dei nostri imprenditori e dei lavoratori di una regione che riesce ad essere ai primi posti per il basso tasso di disoccupazione e per capacità di crescita economica“. La seconda considerazione – fa rilevare l’assessore veneto – è che se da una parte il reddito di cittadinanza o di inclusione è da considerare un atto di civiltà prima ancora che politico – in quanto un Paese civile deve preoccuparsi soprattutto dei più deboli – dall’altra parte bisogna fare attenzione a come viene declinato. E’ necessario immaginare un provvedimento che sia anche in grado di far emergere dall’anonimato il lavoro nero. Altrimenti, il rischio potrebbe essere quello di trovarci a creare una nuova paradossale situazione di figure che risultano disoccupate ma lavorano in nero e per di più ricevono aiuti dallo Stato. Questo sarebbe del tutto inaccettabile e un affronto per tutti coloro che, come i Veneti, pagano le tasse e contribuiscono al benessere economico del Paese”.

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