Antonio Massariolo ha scritto un testo su Bo Live, il giornale web dell’ateneo di Padova sul  52/mo Rapporto Censis che fotografa la situazione sociale del Paese (foto di Unipd). Due sono le delusioni sociali che, secondo l’istituto, hanno portato a questa situazione. La prima è quella dell’aver solo sfiorato la ripresa, che ha portato quindi ad una cocente delusione da parte dei cittadini. La seconda disillusione è riferita all’atteso cambiamento che di fatto non si è concluso, una palingenesi abortita. Il PIL italiano infatti ristagna, nel terzo trimestre, dopo 14 trimestri consecutivi di espansione, si è tornati indietro con il -0,1 %. Conseguentemente i consumi delle famiglie non ripartono, nel terzo trimestre la ripartenza è stata nulla (0%), così come la produzione industriale e l’export che è stato uno dei fattori principali della ripresa anche nei momenti di crisi. “Allo stesso tempo le retribuzioni sono aumentate solamente dello 0,8 % nel terzo trimestre – ha dichiarato Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis -. Anche investimenti e compravendite immobiliari sono scivolati in campo negativo, -1,1%, le imprese hanno smesso di investire nel rinnovo degli impianti che invece lo scorso anno, anche alla luce degli incentivi del piano Industria 4.0, erano stati molto significativi. Aumento del salario È proprio il lavoro uno dei nodi cruciali del rapporto Censis. “Tra il 2000 e il 2017 – dice il report – nel nostro Paese il salario medio annuo è aumentato solo dell’1,4% in termini reali. La differenza è pari a poco più di 400 euro annui, 32 euro in più se considerati su 13 mensilità. Nello stesso periodo in Germania l’incremento è stato del 13,6%, quasi 5.000 euro annui in più, e in Francia di oltre 6.000 euro, cioè 20,4 punti percentuali in più. Se nel 2000 il salario medio italiano rappresentava l’83% di quello tedesco, nel 2017 è sceso al 74% e la forbice si è allargata di 9 punti”. Il Censis per fotografare ciò che sta accadendo usa, annota Massariolo sul Bo Live, il termine di “sovranismo psichico”, che può assumere i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria dopo e oltre il rancore diventa leva cinica di un presunto riscatto e questa cattiveria si manifesta in una conflittualità raccontata da centinaia di fatti di cronaca. Gli italiani quindi, secondo il rapporto Censis, hanno trasformato il rancore in cattiveria. Sentimento che si riversa su coloro i quali sono più indifesi: per il 75% dei nostri connazionali infatti gli immigrati fanno aumentare la criminalità e per il 63% sono un peso per il nostro sistema di welfare. “Gli italiani hanno trasformato il rancore in cattiveria 52° Rapporto sulla situazione sociale del Paese Il Censis fotografa questa situazione attribuendo la motivazione ad una mancanza di prospettive di crescita, sia individuali che collettive. Solo il 23% degli italiani ritiene di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori, contro una media europea del 30%. La mancanza di prospettive si trasforma nel 67% della popolazione che guarda il futuro con paura o incertezza ed addirittura nel 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito che sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter diventare benestanti nel corso della propria vita. Una condizione dettata anche dalla sensazione di sentirsi abbandonati. Nonostante la tornata elettorale che ha portato al governo i due partiti più populisti, il 63,6% è convinto che nessuno ne difenda gli interessi e l’identità. Sensazione di solitudine che fa aumentare la diffidenza per il “diverso”, che viene visto come un pericolo. Il 69,7% degli italiani infatti non vorrebbe come vicini di casa i rom, il 69,4% persone con dipendenze da droga o alcol, mentre il 52% è convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani, quota che raggiunge il 57% tra le persone con redditi bassi. “Sono i dati di un cattivismo diffuso – dice il rapporto Censis – che erige muri invisibili, ma spessi. Rispetto al futuro, il 35,6% degli italiani è pessimista perché scruta l’orizzonte con delusione e paura, il 31,3% è incerto e solo il 33,1% è ottimista”. Futuro che non è visto con un’accezione positiva nemmeno parlando di integrazione: il 59,3% degli italiani è infatti convinto che tra dieci anni nel nostro Paese non ci sarà un buon livello di integrazione tra etnie e culture diverse. censis “Il sogno s’è tramutato in incubo, questa è una tassa che cala nella nostra storia fino a che non ci sarà qualcosa che cambi veramente la vita delle persone”. Con queste parole il direttore generale del Censis ha sviscerato il rapporto durante una conferenza stampa. La percezione però sembra essere supportata anche dai numeri reali. Il potere d’acquisto delle famiglie italiane infatti è ancora inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008. Questo significa anche che la forbice nei consumi tra i diversi gruppi sociali si è visibilmente allargata. Nel periodo 2014-2017, continua il rapporto, le famiglie operaie hanno registrato un -1,8% in termini reali della spesa per consumi, mentre quelle degli imprenditori un +6,6%. Tutti dati che dovrebbero far rizzare le antenne alla politica. I partiti però non sembrano riuscire a cogliere le esigenze dei cittadini e questo si denota dall’area di non voto: le persone che si sono astenute o hanno votato scheda bianca alle ultime elezioni sono state 13,7 milioni di persone alla Camera e 12,6 milioni al Senato. rapporto Censis La percezione dell’Unione Europea Numeri che, alla vigilia delle elezioni europee che si terranno nel maggio 2019, devono far riflettere, sostiene Massariolo, tutte le forze politiche. Ad oggi il rapporto dice che “solo il 43% degli italiani pensa che l’appartenenza all’Ue abbia giovato all’Italia, contro una media europea del 68%: siamo all’ultimo posto in Europa, addirittura dietro la Grecia della troika e il Regno Unito della Brexit. Eppure, finora gli italiani hanno sempre partecipato alle elezioni europee con percentuali di affluenza di gran lunga superiori alla media dell’Ue: nel 2014 il 72,2% contro il 42,6%”. Percentuali che sembrano andare in controtendenza con quelle degli altri paesi europei. Secondo il Censis “alla vigilia delle elezioni europee del 2014, nel mezzo della crisi, i cittadini dei 28 Stati che dichiaravano di avere fiducia nell’Ue erano il 31%, ovvero 11 punti in meno del valore registrato nella primavera di quest’anno (42%). Nei Paesi in cui è elevata la fiducia nell’Ue e contemporaneamente è positivo il giudizio sulla situazione del proprio Paese, a contrario, nel gruppo di Paesi in cui la fiducia nell’Europa è bassa, anche il giudizio sulla situazione interna è negativo: tra questi figura l’Italia, insieme a Francia, Regno Unito, Spagna e Grecia. In questo gruppo il timore di rimanere senza un’occupazione è espresso dall’83% dei cittadini in Grecia e dal 69% in Italia, contro una media europea solo del 44%”. Gli investimenti dell’Italia Gli squilibri che abbiamo fino fino ad ora nella percezione si riscontrano anche in materia di investimenti in istruzione e formazione. Secondo il report Censis, “l’Italia investe il 3,9% del Pil, contro una media europea del 4,7%. Investono meno di noi solo Slovacchia (3,8%), Romania (3,7%), Bulgaria (3,4%) e Irlanda (3,3%)”. Parlando di istruzione universitaria invece, tra il 2014 e il 2017 c’è stato un incremento dei laureati italiani, che sono passati dal 23,9% al 26,9%. Nello stesso periodo però la media Ue è salita dal 37,9% al 39,9%: ben 13 punti percentuali in più”. Parlando di investimenti invece, notiamo come in Italia si spendono 11.257 dollari per studente (7.352 dollari se si escludono le spese per ricerca e sviluppo), mentre la media europea è pari a 15.998 dollari, con una differenza dunque di ben 4.741 dollari (il 42% in più). Un quadro quindi che fotografa un Paese disilluso ed arrabbiato, una rabbia però che per ora viene sfogata contro gli “stranieri” e contro i più deboli, mentre verso la politica sembra ci sia solamente grande disillusione.

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