Le carceri italiane sono per il Paese un grosso problema. Governarle non e’ mai stato facile. Perche’ tra le difficolta’ gestionali ci sono le case di detenzione che hanno i loro anni di vita, mentre poche sono quelle di recente costruzione. Poi ci sono problemi perl a detenzione ed il sovraffolamento e il gkverno del personale di vigilanza. In questo “pianeta” operano anche i capellani. Di recente hanno dato vita ad una Pastorale nell’ambito del penale, un documento approvato e sostenuto dalla Cei nella persona di mons.Nunzio Galantino, segretario generale e vescovo emerito di Cassano all’Jonio. Nel documento egli ha scritto, tra l’altro, rivolgosi ai capellani e volontari laici: “voi entrate nelle carceri per umanizzare questi luoghi di pena. La vostra presenza accanto a chi e’recluso testimonia l’urgenza di comunicare a tutti che la riparazione non deve essere intesa come castigo,o la giustizia come una tragica vendetta. Siate sempre generosi nel donare il vostro tempo e parlate al cuore di coloro che, ristretti, cercano la vera liberta’. Infine, il presule ha ricordato il sacramento della Riconciliazione e che “Dio non si stanca mai di perdonare”. Il documento si spera possa dare i suoi frutti e sia utile a combattere i tanti pregiudizi che suscitano attenzione e accoglienza verso coloro che imprigionati, si sentono rifiutati e tante volte marchiati. Fin qui gli intendimenti della Chiesa nelle carceri, tramite l’opera dei capellani. Ma nelle celle dei molti istituti di pena c’e’ vita complicata e spesso di chiusura nel dialogo. I detenuti, italiani e stranieri, chiedono una migliore giustizia e dignita’. E’ evidente, si legge nel documento, che la persona detenuta si trova in uno stato di sofferenza in quanto persona ferita visto che ha procurato dolore con azioni e gesti verso altri per cui e’intervenuta la mano della giustizia; stessa sofferenza per le famiglie che debbono affrontare problemi connessi alla detenzione. Portare un conforto cristiano a chi si trova in cella non e’ cosa facile per il capellano che si trova a conversare con persone anche di altre religioni. Ad esempio, con giovani fragili e stranieri che tendono a subire il fondamentalismo islamico e aderire al radicalismo. Ma si sa che nelle celle, anche femminili, il quotidiano si vive di regole ed orari e in certi casi con impegni di lavoro, pure esterni quando previsto. Tuttavia tra detenuti bisogna convivere. Difficile resta la gestione personale dei singoli che sono lontani dalla fede e vivono dichiarandosi restii dal praticarla, per non parlare delle tendenze sessuali o delle malattie anche non dichiarate, come l’Aids. Per non parlare della tossicodipendenza diffusa. Il documento base e’stato pubblicato dall’Ispettorato capellani per il tramite della Marcianum press, con il sostegno della Scuola Grande di S.Rocco e dell’Archivio Vittorio Cini di Venezia.

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