L’incontro del 7 ottobre (nell’antico cortile del Bo e presso il dip. di medicina) inaugura l’edizione 2017-2018 di “One Book One City Padova”, il progetto annuale di lettura individuale e collettiva di un testo classico promosso dall’Università di Padova per la città e il suo territorio: una maratona di lettura da mezzogiorno a mezzanotte. “One Book One City Padova” è una delle attività del palinsesto Universa, con cui l’Università di Padova declina il suo “impegno pubblico” a diffondere cultura e promuovere benessere sociale. È un programma di lettura di un unico testo importante, scelto per il suo valore letterario e culturale e perché, antico o moderno, sa parlare al presente e a persone di tutte le età. “È un invito – ha evidenziato Annalisa Oboe, Prorettrice alle relazioni culturali, sociali e di genere dell’Università di Padova – a creare comunità leggendo. Il libro scelto per la seconda edizione, che prende il via nell’autunno 2017 per accompagnarci fino al 2018, è il romanzo Frankenstein, o il Prometeo moderno della scrittrice inglese Mary Shelley, di cui nel 2018 si celebrano i duecento anni dalla pubblicazione: un viaggio nei temi sempre contemporanei della creazione della vita e della morte, dell’altro, del diverso, delle conquiste e dei limiti della scienza, della grandezza e della finitezza dell’umano». Grazie alla partecipazione di tutti, “One Book One City Padova” potrà essere anche un laboratorio di idee, di momenti di creatività e di festa, un insieme di iniziative eterogenee – quali readings, proiezioni di film, progetti teatrali, mostre, concorsi – e di attività in università, nelle scuole, nelle librerie, nelle biblioteche e nei quartieri di Padova. La storia di come Shelley (foto d’arch.) sia arrivata a scrivere Frankenstein comincia quando lei stessa inizia a scriverlo in Svizzera, sul lago di Ginevra, nell’estate del 1816, quando Byron propose a lei, a Percy Shelley, Claire Clairmont (figlia della matrigna di Mary) e John Polidori, il medico personale di Byron, di scrivere un racconto che facesse davvero paura. Questa storia si trova nell’Introduzione all’edizione di Frankenstein del 1831. Mary Shelley, nata nel 1797, nel momento in cui varie ‘rivoluzioni’ (americana, francese, industriale) stavano cambiando il mondo, visse in un’epoca di forte trasformazione politica, sociale e tecnologica, in cui valori per lungo tempo ritenuti assoluti furono rimpiazzati da valori relativi, e un assetto sociale stabile – quello del secolo prima, di cui parla la grande Jane Austen – da uno in continua mutazione. Il concetto di autorità, terrena o divina, era stato sottoposto a critiche severe sia in occasione di grandi eventi storici quali le rivoluzioni americana e francese, che avevano innescato una serie di sollevazioni continentali nel nome dell’autogoverno, sia nel pensiero politico che filosofico radicale e libertario, passato poi in letteratura attraverso la poesia romantica. Questi cambiamenti definirono modi nuovi di rapportarsi all’autorità e di acquisire ricchezza e potere. Le teste dei re cominciarono a cadere, e con loro l’ordine sociale antico. Mary Wollstonecraft Godwin eredita dai genitori la disobbedienza civile, socio-politica e anche personale. Dai loro scritti teorici e dalle loro vite, la giovane assorbe, ripercorre e in parte rivede il pensiero radicale di William Godwin e Mary Wollstonecraft. Mary Shelley continua a sostenere gli ideali dei genitori anche quando suo padre ormai non ci crede più. Mary reagisce a questo cambiamento del padre e lo sfida fuggendo da casa con Percy Bysshe Shelley, diventando in un certo senso la personificazione vivente delle idee giovanili dei genitori, che la madre non visse sufficientemente a lungo da poter sconfessare. Mary crebbe in modo non convenzionale e visse la disobbedienza personale fin dalla tenera età; decise molto presto che avrebbe vissuto di scrittura, e pubblicò il suo primo libro a 11 anni (Monsieur Nongtongpaw), e la sua History of a Six Weeks Tour in Europe e Frankenstein a 19 anni. A 16 anni fuggì con Shelley, che era già marito e padre, sfidando non solo i codici sociali, ma anche la volontà di Godwin, che si rifiutò di riconoscere la coppia finché Mary e Percy non si sposarono due anni più tardi. Quello che forse va sottolineato, rispetto alla fuga dall’Inghilterra e le peregrinazioni sul Continente assieme ai grandi scrittori romantici, è che il rapporto fra Mary e i due poeti evidenzia chiaramente che la giovane aveva la testa e l’istruzione giusta per quella cerchia non convenzionale di creativi illuminati, ma il sesso sbagliato, nel senso che Byron e Shelley preferivano discutere da soli e fare cose da soli, piuttosto che in compagnia delle donne, e che la stessa Mary, quando si trovava in compagnia dei due, assumeva il ruolo dell’ascoltatrice – a silent listener – più passivo di quanto la sua natura non la obbligasse a fare. Proprio per questa posizione doppia di insider/outsider Mary Shelley ha condiviso gli slanci ideologici ed emotivi, nonché le fughe, della seconda generazione romantica, ma ne ha anche conosciuti i pericoli, le sconfitte, lo squilibrio interno. La sua era una posizione scomoda, divisa fra partecipazione e distacco, entusiasmo e paura. Mary sembrava essere consapevole del suo ruolo marginale: di donna in mezzo a uomini, di borghese alla corte di aristocratici e di narratrice tra poeti. (m.m.)

 

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