Apicoltori e tecnici apistici possono presentare dal 10 agosto domanda di contributo per le spese per le attività di formazione, prevenzione delle malattie, ripopolamento dell’alveare, ricerca e valorizzazione dei prodotti dell’alveare. Con la pubblicazione sul Bur in uscita venerdì 10 agosto, prendono il via i 60 giorni previsti per il bando 2018-2019 a favore dell’apicoltura.delibera di Giunta sono indicati i criteri, le priorità e gli indirizzi procedurali generali di applicazione per la presentazione delle domande, l’ammissibilità delle spese, la realizzazione, la pubblicità degli interventi e per la concessione dei finanziamenti, nonché la ripartizione tra le misure delle risorse assegnate. “La Regione del Veneto da sempre riconosce e sostiene l’importanza dell’apicoltura – ha detto l’assessore regionale all’agricoltura, Giuseppe Pan – e annualmente aiuta gli apicoltori redistribuendo le risorse finanziarie comunitarie e nazionali dedicate al settore. Quest’anno sono disponibili 305.439 euro di contributi per garantire l’aggiornamento degli apicoltori e dei tecnici apistici iscritti all’elenco istituito dalla legge regionale n. 23/1994, prevenire le malattie dell’alveare, valorizzare i prodotti dell’alveare, ripopolare il patrimonio apicolo regionale, promuovere attività di ricerca e garantire agli apicoltori strumenti per migliorare i rapporti con i consumatori”. Nel Veneto operano circa cinquemila, collocando la regione nelle prime posizioni nazionali. Agli inizi del ’900 l’Apicoltura era presente in tutte le ville venete e in molte famiglie di agricoltori. Fino al 1926, anno della promulgazione della prima Legge sull’apicoltura, gli sciami d’api erano posti in un semplice parallelepipedo; in autunno, alla fine delle fioriture, tutto il contenuto, api comprese, veniva pressato per ricavare il miele e la cera (e quindi distrutta l’intera famiglia e i favi). Dopo il 1926 iniziò lentamente un’Apicoltura un po’ più razionale, anche se fino agli anni ’50 la maggior parte delle api veniva ancora allevata nei cosiddetti “bugni”, rustici ricoveri adattati ad arnia. Solo dopo la Seconda guerra mondiale l’apicoltura s’avvia a diventare una vera attività produttiva e commerciale, indirizzata inizialmente per l’impollinazione dei fruttiferi e successivamente per la produzione di miele di varie qualità, tra cui quelle di castagno, di robinia e millefiori primaverile ed estivo oltre che la melata. Nel Veneto il miele si produce soprattutto nelle zone collinari, dove si trovano molte zone alberate e prati anche non falciati, tutte aree che esercitano un’attrazione molto forte per le api. Il Montello, grazie alle numerose aree boschive, alla presenza di una grandissima quantità di acacie che si moltiplicano da sole invadendo anche le zone coltivate, e ampi prati ricchi di erbe anche aromatiche e di fiori spontanei, rappresenta un habitat ideale per le api. Nella zona del Grappa, ricca di specie floreali, la produzione di miele ha avuto un notevole sviluppo e, soprattutto nell’ultimo secolo ha assunto dimensioni notevoli e produzioni di qualità elevate, apprezzate per le particolari caratteristiche organolettiche che il prodotto riesce a manifestare. Il Veneto ha inoltre ufficialmente conquistato la Denominazione d’Origine Protetta per il “Miele delle Dolomiti Bellunesi”, prodotto, a partire dal nettare dei fiori del territorio montano bellunese, dall’ecotipo locale di “Apis mellifera” che deriva da incroci naturali tra diverse razze apistiche e che si è particolarmente adattata nel corso del tempo alle caratteristiche dell’ambiente montano alpino bellunese. Il miele ottenuto ha queste tipologie:
Millefiori, Acacia, Tiglio, Castagno, Rododendro e Tarassaco.

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