Entro la fine del secolo, ci sarà una maggiore frequenza e un intensificarsi dei periodi di siccità e di ondate estreme di calore. Le valutazioni sono degli esperti.  E’ quanto pubblica il giornale Il Bo dell’ateneo di Padova. Le proiezioni delle condizioni future si basano sui modelli climatologici più aggiornati (ensemble CMIP5) e per due differenti scenari (RCP 8.5 e RCP 4.5) sono legati alle future emissioni di gas serra nell’atmosfera. In entrambi i casi si prevede un aumento delle temperature nell’ambito di 1,7 – 4,8 °C. Il risultato sarà che eventi estremi come la siccità e le alte temperature, ampiamente sperimentati negli ultimi mesi, saranno la norma entro la fine di questo secolo. Già oggi siccità e ondate di calore hanno causato episodi di sofferenza e mortalità in molti abeti nell’area del Mediterraneo. Partendo da questo dato un team internazionale di ricercatori (Istituto pirenaico di ecologia di Saragoza, università Pablo de Olavide e dipartimento di Territorio e sistemi agro-forestali dell’università di Padova) ha pubblicato su PNAS l’articolo dal titolo “Climate extremes and predicted warming threaten Mediterranean Holocene firs forests refugia” il cui focus è il censimento delle diverse specie di abeti in una fascia particolare dell’area mediterranea (foto). L’ambito comprende la penisola iberica, la catena montuosa dell’Atlante in Marocco, la parte centrale e meridionale della nostra penisola e le regioni a pari latitudine nell’altro versante dell’Adriatico (Serbia, Albania, Montenegro, Macedonia), la Grecia, Turchia e Siria nella parte prospiciente al Mediterraneo e infine il Libano. In queste zone si sono osservati fenomeni di deperimento e morte legati alle eccessive temperature e soprattutto alla carenza idrica. Nello studio si evidenzia però una “anomalia”: anche nelle aree più colpite, non tutti gli individui reagiscono allo stesso modo. “Alcuni abeti sono più sensibili e deperiscono mentre altri si rivelano più resistenti riuscendo a superare i periodi critici – sottolinea Marco Carrer, ecologo forestale del dipartimento Territorio e sistemi agro-forestali dell’università di Padova – La differenza nelle risposte potrebbe essere dettata dalla variabilità genetica tra gli individui e le ricerche future dovranno tenere conto di questo aspetto per meglio comprendere le cause alla base di questa variabilità. Evidenziare queste criticità rispetto alle future condizioni climatiche rappresenta però un contributo significativo, poiché la conservazione di tali specie forestali marginali dipenderà non solo dal clima che ci troveremo ad affrontare ma anche dalla corretta comprensione di quanto siano vulnerabili queste specie arboree. Se si adottasse questa visione ampia del fenomeno potremo censire le popolazioni di individui particolarmente resistenti e pre-adattate alle future e più difficili condizioni ambientali e pensare di attivare strategie di conservazione delle specie”. Alla luce di quanto osservato, ha concluso Carrer, “sarebbe auspicabile l’attuazione di politiche di gestione volte alla mitigazione dei futuri impatti, favorendo ad esempio la riproduzione e diffusione degli individui o delle popolazioni che si sono rivelate più resistenti. Si potrebbe anche pensare, in casi estremi e con massima cautela, a operazioni di migrazione assistita per le specie particolarmente minacciate di estinzione le quali potrebbero trovare, in aree più a nord o a quote più elevate, condizioni più idonee per lo sviluppo e la crescita rispetto alle attuali aree di diffusione”. Le prospettive per le foreste mediterranee sono tutt’altro che ottimistiche. “Abbiamo utilizzato le informazioni ricavabili dagli anelli di accrescimento delle piante e li abbiamo messi in relazione agli eventi climatici estremi quali siccità e ondate di calore succedutesi dal XX secolo, ha proseguito J. Julio Camarero, dendrcoologo dell’Istituto pirenaico di ecologia di Saragoza. “In questo modo è stato possibile valutare la vulnerabilità futura di molte specie di abete del Mediterraneo alle condizioni climatiche che ci si aspetta di avere alla fine del XXI° secolo. Nonostante in alcuni siti le foreste possano trovare condizioni più miti e stagioni vegetative più lunghe, negli anni successivi al 2050 i nostri modelli predicono una brusca riduzione degli accrescimenti pari, nella maggiore parte dei casi, al 20-50% del totale”. “I nostri risultati suggeriscono che alcune foreste di abeti mediterranei, unici nel loro genere e inseriti nella lista rossa dell’IUCN – International Union for Conservation of Nature – come specie minacciate di estinzione, potranno subire una drastica riduzione o addirittura estinguersi in brevissimo tempo”, ha specificato Raúl Sánchez-Salguero, ecologo forestale dell’Istituto Pirenaico di Ecologia di Saragoza e dell’università Pablo de Olavide. Infine, Juan Carlos Linares, professore di ecologia all’università Pablo de Olavide ha sostenuto che “assisteremo a una contrazione massiccia delle aree di diffusione di molte specie di abeti circummediterranei, particolarmente evidente alle quote inferiori e nei limiti meridionali”.

 

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