L’allarme mare-acqua e’ nuovamente al centro di “raccomandazioni” da parte degli studiosi rivolte ai gestori del mondo a bloccare o almeno diminuire l’inquinento. Il clima e’ fortemrnte minacciato ed i governanti hanno grosse responsabilita’sulla vita dei popoli prr cui debbono con urgenza attivare sistemi per rientrare da questa difficile fase adottanto misure di forte contrasto.
Secondo l’oceanografo dell’ Enea Gianmaria Sannino le coste veneziane – Jesolo, Cavallino e Caorle – potranno essere allagate gia’ nel 2030. Per non parlare di Venezia. «Difficile stabilire con precisione il tempo – potrebbe essere il 2030 come il 2070 – finché non capiamo come funziona esattamente lo stretto di Gibilterra (vedi articolo sotto). Ma ciò che è certo è che queste località saranno inondate entro il 2100. E’ solo questione di tempo. E la cosa peggiore è che questo accadrà nonostante tutto, poiché il 93% del calore generato in più dal sistema climatico terrestre è finito negli oceani». Marta Gasparon lo rifersce su Gente Veneta. Il problema è reale, ha precisato l’esperto: è fondamentale iniziare a ragionarci. Stesso destino per Venezia che, per giunta, registra un tasso di subsidenza importante. Se a livello globale, infatti, il mare, dal 1880 ad oggi, è salito di 25 centimetri, andamento diverso lo registra la città lagunare. Dal 1860 il livello è aumentato di 35 centimetri. Un dato dovuto alla subsidenza – sprofondamento della terra – che qui e nel nord Adriatico tocca i 3 millimetri l’anno. «Da un lato – ha illustrato Sannino – la terra scende, dall’altro il mare sale. E quest’effetto combinato fa sembrare che Venezia vada sotto più in fretta». A Venezia c’è (ci sarà) il Mose. Sannino ha spiegato come esso un insegnamento lo stia dando. «Indipendentemente dal fatto che possa funzionare o meno, deve esserci da monito e farci vedere che dobbiamo darci da fare: non siamo bravi, forse, a trovare soluzioni rapide
Bisogna mettere intorno ad un tavolo chi ha già fatto qualcosa insieme a chi non ha fatto ancora nulla. «Pensiamo ai Paesi Bassi: hanno già trovato una serie di soluzioni. Ultimamente, poi, si sta cercando di andare in una direzione più “naturale”, differente rispetto alla creazione di dighe. Un esempio: la creazione di boschi di mangrovie, anche se la loro validità non è ancora stata certificata al 100%». (foto GV).

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