A “MontagnaLibri” l’autobiografia dello scalatore vicentino Franco Perlotto in “Spirito libero”, qual’è il titolo della sua autobiografia pubblicata da “Alpine Studio” di Lecco. Lo scalatore vicentino, pioniere dell’arrampicata in solitaria, freeclimber, lo ha raccontato a “MontagnaLibri”, sotto il tendone di piazza Fiera, dialogando con Mirella Tenderini, curatrice della collana “Oltre Confine” della casa editrice lombarda (foto). Non solo alpinista ma anche, per 26 anni, impegnato nella cooperazione in tante missioni in giro per il mondo, dalla Bosnia al Rwanda, Perlotto ora gestisce il rifugio “Boccalatte”, in val d’Aosta. “Ribelle di natura fin da ragazzo, un po’ orso”, dice di sé, Perlotto ama “giocare col rischio, perché mi affascina, fin dalle prime scalate nel Cadore”, sottolinea. Pioniere dell’arrampicata in solitaria, negli anni Settanta fu il primo italiano a scalare le pareti dello Yosemite, in California, negli Stati uniti. Non si contano le sue ascese in tutto il mondo, dall’Europa all’America Latina. “Eterno vagabondo”, come viene definito, ci si “limita” a dire, per usare un eufemismo, che di vette “ne ha scalate alcune migliaia, molte delle quali da solo. Siccome è un alpinista schivo – ha affermato nel corso della presentazione di “Spirito libero” Mirella Tenderini – non ha ottenuto la fama che altri hanno, anche perché non è andato alla ricerca della salita famosa che ti fa diventare famoso”. Autore di una decina di libri e di reportage di viaggio pubblicati da testate italiane e straniere, il vicentino annota, in “Spirito libero”: “Negli anni Settanta mi ero avventurato soprattutto da solo su mondi verticali. Negli Ottanta, invece, mi ero diviso tra esperienze appassionanti sulle grandi pareti e il gioco acrobatico della pura arrampicata su piccole rocce nascoste negli angoli più belli dei fondovalle. Verso la fine di quegli anni e gli inizi dei Novanta, mi appassionai a viaggi difficili, anche non alpinistici, approfittandone, a volte, per andare alla ricerca di montagne sperdute negli angoli meno conosciuti del pianeta”. E riflette: “C’era un filo conduttore che univa tra di loro quelle spedizioni, quei viaggi, quelle scalate. Era il senso del grandioso che tutte quelle avventure mi avevano ispirato. In fin dei conti tutto era iniziato sulle montagne venete, non lontano da casa, anche se il mio vagabondare mi ha poi portato nei più disparati lidi”. Dopo alcun problemi fisici e l’inevitabile prolungato stop, il “vagabondo” non demorde. Conclude infatti la sua autobiografia con queste parole: “Alla soglia dei sessant’anni, sebbene con qualche acciacco, spero sia finalmente giunto il momento del mio sospirato ritorno ai monti”. Trento Film Festival prosegue fino al 7 maggio con un ricco programma: 118 tra documentari e film nella 65/ma edizione (i temi riguardano montagna, società, cinema, letteratura).

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