Alla vigilia della mostra La geografia serve a fare la guerra? (a cura di Massimo Rossi e con l’allestimento di Fabrica) che inaugura il 5 novembre, la Fondazione Benetton Studi Ricerche ha proposto, negli spazi Bomben di Treviso, due momenti pubblici per anticipare alcuni dei temi dell’esposizione. Nel giardino della Fondazione, in collaborazione con la Federazione Colombofila Italiana, si è svolto un lancio dimostrativo di una cinquantina di colombi viaggiatori per evocare il loro impiego nel corso della Grande Guerra (foto di Marco Zanin). In mostra si potranno vedere la dislocazione delle colombaie mobili sul fronte del Piave e le soluzioni pensate dallo Stato Maggiore per invitare le popolazioni dei territori occupati a fornire vitali informazioni attraverso questi animali, imprendibili a una quota di poco superiore ai 100 metri e perfettamente addestrati a far ritorno nei luoghi di nascita. Per la Federazione Colombofila Italiana è intervenuto Stefano Tuzzato che ha illustrato l’attività e le finalità di una pratica sportiva che oggi in Italia e nel resto del mondo vanta un alto numero di aderenti. Da prezioso messaggero il colombo si è trasformato in atleta da competizione in grado di percorrere distanze dai 200 ai 600 km a una velocità media che oscilla, a seconda delle categorie, tra i 65 e i 75 km/h. Franco Farinelli, ordinario di Geografia all’Università degli Studi di Bologna e presidente dell’Associazione dei Geografi Italiani, ha tenuto, di fronte a un numeroso pubblico e a due classi prime del Liceo Statale Duca degli Abruzzi di Treviso una conferenza dal titolo A cosa serve la geografia? primo di altri sette appuntamenti che accompagneranno, fino a febbraio 2017, tutto il periodo di apertura dell’esposizione. La mostra “La geografia serve a fare la guerra? Representation of human beings, mappe e arte in mostra”, che la Fondazione Benetton Studi Ricerche propone dal 6 novembre 2016 al 19 febbraio 2017, nella sua sede di Treviso, mette in luce il ruolo fondamentale dei colombi viaggiatori nelle sorti della prima Guerra Mondiale. A loro erano spessissimo affidati i collegamenti tra le aree più calde del fronte e i comandi. In mostra foto d’epoca li ritraggono in attività. Ogni reparto era in possesso di precise “istruzioni d’uso” per gestire i preziosi piccioni. Essi, volando veloci e a una quota di un centinaio di metri, riuscivano a superare indenni le linee di fuoco, portando a destinazione il loro carico di informazioni. Rigorosamente contenute per lunghezza di testo (non dissimilmente dai tweet di oggi) e spesso crittografate. Ma i colombi, come farebbero nelle guerre odierne i droni, portavano anche delle piccole fotocamere che, programmate a tempo, catturavano immagini ravvicinate, e quindi utilissime, delle postazioni nemiche. Riportate sulle mappe degli Alti Comandi, queste informazioni concorrevano a far decidere spedizioni, attacchi o riposizionamenti. A gestire i pennuti, come oggi esistono le Unità Cinofile, esistevano le Unità Colombofile e a garantire il loro movimento erano delle Colombaie mobili, presenti lungo tutto il fronte, da entrambe le parti. Ad esempio, nel corso della battaglia di Vittorio Veneto, lungo la linea italiana, furono impiegati non meno di 1.500 piccioni, accuditi da militari “colombofili educatori”, a confermare l’importanza di questa “arma” informativa. L’uso dei colombi in guerra è perdurato ufficialmente sino agli anni sessanta del Novecento ma i rumors, mai confermati, evidenzierebbero che i pennuti sono tuttora in uso in alcune aree calde, ad esempio in Medio Oriente. Preziosi perché, negli spazi aperti, la loro presenza, il loro transito passano inosservati e garantiscono quindi, più di altre comunicazioni che possono essere agevolmente registrate, il transito di informazioni riservate. Si dice anche che i colombi non siano estranei, ancora oggi, al passaggio di “pizzini” all’interno di certe organizzazioni malavitose.

Lascia un commento